Sei in: Home >I Vostri Racconti - I Racconti dei lettori |
Romolo Tavoni racconta…
La Formula Monza nacque da un'intuizione di Luigi Bertett, presidente dell'Automobile Club Milano. Io fui quello che ebbe l'incarico di realizzarla. Per capire come e perché bisogna risalire con i ricordi alla prima metà degli anni Sessanta. In quel periodo avevo già lasciato, assieme ad altri sette dirigenti, la Ferrari per alcune divergenze con la proprietà, e nel marzo del '62 ero approdato all'Ats in qualità di responsabile della parte logistica, amministrativa e sportiva. Nell'Ottobre dell'anno seguente mi ero già dimesso, preoccupato della sorte dell'azienda (e quindi anche mia) conseguente all'uscita di scena di Giovanni Volpi di Misurata e di James Ortiz Patino. Un giorno, era l'inizio del 1964, ricevetti a sorpresa una telefonata di Angelo Orlandi, presidente dell'Automobile Club di Modena: "Tavoni, perché non vai a fare tirocinio all'Automobile Club di Milano? Ci stai un mese, impari tutto quello che c'è da sapere, torni ed io ti assumo". Quello di Milano era, al tempo, il più importante Automobile Club italiano: aveva tutti i servizi della sede centrale di Roma e soprattutto aveva come presidente Luigi Bertett, un grande uomo, pieno di idee e di voglia di costruire. Benché avessi bisogno di lavorare, non avevo però alcuna intenzione di abbandonare il mondo che conoscevo: quello sportivo. Stavo intavolando delle trattative piuttosto serie con l'Abarth quando a sopresa, Pietro Manci, direttore dell'AC Milano, mi invitò ad un colloquio di lavoro. Aveva bisogno di un uomo della mia esperienza, ma sulla strada di un eventuale accordo c'erano alcuni ostacoli, soprattutto di natura economica. Per risolvere la questione intervenne personalmente Bertett. Ci conoscevamo, sapeva tutto della storia dell'apprendistato per l'AC Modena e dei colloqui con l'Abarth. Mi parlò con molta franchezza: "I miei collaboratori in realtà non la vogliono ma io desidero che lei venga a lavorare da noi come consulente dell'ufficio sportivo". "C'è il problema economico - risposi - sono dirigente, mi ha nominato Enzo Ferrari per sbaglio e voglio continuare ad appartenere alla categoria". Bertett risolse velocemente la questione e così invece che all'Abarth, entrai a fare parte dell'AC Milano. Nel primo mese conobbi tutti i capi servizio del sodalizio, ebbi diversi colloqui con lo staff dirigenziale per poter capire le attività che si svolgevano ed i compiti dei vari uffici. Dopo il necessario periodo di ambientamento, mi mandarono da Giuseppe Bacciagaluppi, direttore dell'Autodromo di Monza e della Sias, società a capitale Aci che gestiva e gestisce tuttora l'impianto brianzolo. Quando mi presentai, l'ingegnere, noto per il carattere difficile, mi squadrò brevemente, dopo di che mi liquidò dicendo che una segretaria lui l'aveva già e che al massimo potevo dare una mano a Gianni Restelli, direttore sportivo e tecnico della pista. A quel punto mi chiesi per quali ragioni l'AC Milano mi avesse mandato a Monza. Fu Restelli a spiegarmelo: "Ma non l'hai ancora capita? Manci non ti vuole a Milano e quindi ti scarica alla Sias. Tu sei più noto, più importante e più tecnico di quelli dell'ufficio sportivo dell'AC Milano". Qualche giorno dopo, però, Bertett mi convoca nel suo ufficio per conoscere la mia opinione sull'autodromo e, soprattutto, se ritenessi che l'impianto venisse utilizzato al massimo della sua potenzialità. Non lo era: in un giorno avevano girato sì e no tre macchine! Monza allora aveva - tra operai, impiegati e dirigenti - un organico di dodici persone che, immersi nel verde del parco, facevano sicuramente una bella vita, ma poco produttiva. La pista veniva usata saltuariamente da Ferrari, Fiat, Alfa Romeo e Maserati per qualche prova o per qualche record. Gare poche, quelle istituzionali dell'AC Milano. A Bertett tutto ciò poteva andare bene, voleva che il patrimonio dell'autodromo fosse sfruttato il più possibile. "Tavoni, mi deve elaborare una formula promozionale per una maggiore attività tecnico-sportiva dell'autodromo". Fu molto chiaro nelle intenzioni. A quel punto non sapevo cosa fare. Chiesi consiglio a Restelli, con cui nel frattempo avevo instaurato un rapporto di grande umanità. "Tavoni - furono le sue prime parole - ti hanno affibbiato una gran brutta gatta da pelare. Non fare parola della questione, rischi di essere cacciato ad urlacci". Il progetto di Bertett era quello di far diventare Monza una scuola permanente di formazione ed addestramento, non solo per i piloti, ma anche per i meccanici, costruttori, preparatori e per tutti coloro che a vario titolo erano coinvolti nell'attività sportiva: quindi, anche per gli organizzatori (che dovevano imparare a gestire le competizioni ed a fare quadrare i bilanci) e per i commissari di percorso, che fino ad allora erano quasi tutti ex piloti. Alla base di questo ambizioso programma - che costituiva una vera innovazione non solo per Monza ma anche per tutto l'automobilismo nazionale ed internazionale - ci doveva essere una vettura addestrativa, economica, sicura e facile da gestire, in modo da mettere i piloti nelle condizioni di poter correre provvedendo da soli al minimo di manutenzione necessaria. "A questo progetto ci deve pensare lei, nessuno deve metterci il becco. Sono tre anni che parlo e non ho visto un solo risultato. Stavolta decido e faccio io, ma lei deve organizzarmi il tutto. Comunque, per precauzione ritorni in sede a Milano: tornerà a Monza a programma definito". Sapendo che non avrei potuto contare sull'aiuto né delle Case (che non avevano nessuna voglia di cimentarsi in una categoria così piccola) né delle grandi scuderie, il cui interesse era tutto per le corse Turismo e Granturismo, se volevo ottenere qualcosa, dovevo rivolgermi ai piccoli costruttori. E dovevo anche spendere poco per il progetto! Mi venne in mente di ricorrere all'aiuto dell'ingegnere Massimino. Mi precipitai da lui, gli esposi le mie idee per un telaio sicuro, robusto, economico e di facile costruzione. "Non ci sono problemi. Io faccio i calcoli ed il lavoro lo sviluppa Molinari, il mio disegnatore: in questo cose é molto bravo". Tecnico di grande valore, cresciuto alla scuola di Vittorio Jano, a quel tempo Massimino era il consulente delle grandi fabbriche modenesi, Ferrari e Maserati. Lo stesso Enzo Ferrari, quando aveva qualche dubbio sul lavoro dei suoi progettisti, lo interpellava. "Guarda cosa c'é che non va in questo particolare": Il Grande Vecchio ordinava e lui si metteva al lavoro nel suo studio, controllando tutti i disegni fino a quando non trovava il modo di migliorare quanto gli era stato sottoposto. Ferrari allora radunava i suoi tecnici e diceva con finta noncuranza: "Ieri sera ho fatto fare un progettino a mio figlio Dino, che non va ancora a scuola, e ora vorrei vedere realizzato questo suo particolare". Tutti i presenti capivano l'antifona e l'incolpevole consulente era destinatario di una serie di maledizioni in modenese. A volte Massimino si fermava due o tre mesi in fabbrica, chiamato sempre dal Capo. Si metteva in un angolo dell'ufficio tecnico e nessuno osava disturbarlo o, peggio ancora, contraddirlo mentre lavorava. Alla fine consegnava il suo lavoro direttamente ad Enzo Ferrari, che chiamava subito i capi disegnatori, Rocchi o Salvarani, ma non il responsabile dell'ufficio tecnico, che secondo gli anni poteva essere Lampredi, Bellentani o Chiti. "Esaminate questo progetto e discutetene fra di voi se può andare bene". Il che equivaleva a dire di informare il loro capo di apportare le modifiche secondo le indicazioni di Massimino. Questo era il metodo di lavoro di Enzo Ferrari per tenere in agitazione le menti dei suoi collaboratori. Ma ritorniamo a noi. Dopo aver commissionato a Massimino il telaio, si trattava di trovare il motore adatto: doveva essere di grandissima serie perché costasse poco. L'unico posto dove trovarlo era alla Fiat, dove lavorava Aurelio Lampredi, una mia buona conoscenza. Ci incontrammo nel suo ufficio torinese alle undici di un freddo mattino dell'aprile 1964. Lampredi comprese lo spirito dell'iniziativa, condividendola con entusiasmo. In Italia c'era stata una grande scuola di piloti che proveniva dalle gare su strada, come la 1000 Miglia, ma mancava una scuola formativa per le corse in pista, ad imitazione di quanto avevano fatto da tempo gli inglesi. Mi propose di utilizzare il motore della Fiat 500, "ma quello a sogliola, non quello verticale". Rimasi interdetto: come era possibile trapiantare il motore della 500 Giardiniera su una macchina da corsa? Sapevo che lui era un grande estimatore dei bicilindrici fin dai tempi in cui lavorava a Maranello, anche se Enzo Ferrari non aveva mai voluto prestargli attenzione, almeno in questo campo. Emigrato a Torino, l'ingegnere aveva rispolverato i suoi vecchi progetti, dando così vita al motore della Nuova 500 ed a tanti altri che poterono sfruttare le semplici soluzioni derivate dai bicilindrici. "Tavoni, non si preccupi: le consiglio il motore sogliola perché ha un baricentro molto basso. Gli lasciamo attaccati il suo bel cambio ed il suo retrotreno: é tutto a sbalzo e sarà molto bello da guidare per i giovani, con il peso tutto dietro". Uniche sue raccomandazioni furono quelle di usare un telaio non troppo corto e con uno studio della distribuzione dei pesi adatta ad un motore a sbalzo. "Ma il motore del Giardiniera ha pochi cavalli, come possiamo elaborarlo per farlo andare di più?", fu la mia successiva richiesta al responsabile tecnico Fiat. Allora Lampredi mi chiese di seguirlo. Senza dirmi dove stavamo andando mi caricò sulla sua macchina e partimmo per destinazione ignota. Dopo esserci fermati a mangiare in una trattoria, mi portò da Almo Bosato, il suo preparatore di fiducia a cui l'ingegnere ricorreva quando aveva bisogno di un lavoro sperimentale fatto con la massima urgenza. Bosato stava studiando in quei giorni degli aggiornamenti per il Fiat 500 Giardiniera. Indicò a Lampredi i risultati del suo lavoro: cambiando le valvole, adottando molle valvole più cariche, lucidando i condotti di aspirazione, era possibile guadagnare cinque cavalli. Per una preparazione più spinta, si potevano eliminare tutti gli accessori inutili per la pista ed adottare lo scarico libero ed una diversa regolazione del carburatore. Così il regime di rotazione saliva di oltre 1000 giri, con un guadagno di almeno 10 cavalli. Quando gli rivelai il motore che si voleva utilizzare, Massimino fece un salto sulla sedia, ma poi, anche se perplesso, si mise al lavoro e fece il progetto della vettura tenendo conto dei suggerimenti di Lampredi. Beh, questa prima fase era fatta. Dovevo solo trovare chi realizzasse materialmente il prototipo. Per la carrozzeria in alluminio andai da Fantuzzi, mentre per il telaio mi rivolsi ai modenesi Giuliano Luppi, Giovanni Manfredini e Girolamo Gibertini. Feci costruire tre prototipi (uno bianco, uno rosso ed uno verde, come la bandiera italiana), ognuno dei quali costò, compreso tutto, un milione e duecento mila lire. I prototipi furono portati in autodromo. Arrivò Bertett, li esaminò con attenzione e poi disse: "Complimenti, è proprio ciò che volevo. Questa scuola deve nascere qui a Monza e la deve dirigere la Sias". Poi, rivolgendosi a Bacciagaluppi: "Nino, tutti i giorni voglio che i giovani girino in pista con queste vetturette, anche la sera quando hanno finito di lavorare. Faranno un pò di confusione ma ci vuole. E ... ricordati: devono girare gratis!". Bacciagaluppi voleva incrementare l'attività tecnica durante il giorno. Bertett, di rimando, decise che si doveva correre il giovedì sera, sulla pista Junior. L'idea di questo tracciato corto, realizzato nel 1963, era stata ovviamente di Bertett: "Il circuito lungo deve essere utilizzato per le grandi manifestazioni, mentre per le gare nazionali ci vuole un circuito che abbia minori costi di gestione, ma non minore prestigio. Quando corrono a Monza, i piloti, qualunque essi siano, devono trovare soddisfazione ed essere orgogliosi". Fu dato così il via all'illuminazione della Junior per poter correre in notturna e fu la Philips, con un progetto avveniristico per l'epoca, a fare lo studio e la realizzazione. Per il primo anno si corse di pomeriggio e l'impianto di illuminazione fu inaugurato alla fine dell'estate del 1965. Iniziò così l'avventura della Formula Monza. Il primo anno l'accesso alla pista era completamente gratuito, con l'unico vincolo di utilizzare la benzina prelevata dal distributore dell'autodromo. I piloti arrivavano al pomeriggio del giovedì e dopo pochi minuti erano già in pista. Il 1964 fu un anno di rodaggio: non furono disputate gare ma si lasciava che i piloti girassero a loro piacimento in pista per imparare l'arte della guida sportiva. Il primo campionato della Formula 875 Monza fu disputato l'anno successivo. La nascita della Formula Monza come formula addestrativa, motore monomarca e scuola di formazione, fu una novità assoluta a livello mondiale: precedette perfino la Formula Ford, la formula addestrativa per eccellenza, vanto dell'automobilismo britannico. In via Montenapoleone, nel pieno centro di Milano, c'era allora un grande negozio su cui capeggiava una scritta: "100.000 camicie". Un giorno Francesco Gallo, dell'ufficio Promozione e Pubblicità dell'AC Milano, mi confidò che Bertett voleva che il prototipo rosso venisse esposto in quel negozio. Era l'aprile del 1964, la monoposto rimase esposta per quindici giorni e fu una grande promozione: gli ordini di acquisto si intensificarono. Si rivolse a noi anche l'Assessore al Turismo del Comune di Milano che la volle esporre all'Arengario per un mese. Per un altro mese fu esposta nel salone centrale dell'Automobile Club di Torino. Fu un vero successo. A Bertett l'idea, come ho già detto, venne qualche anno prima, una sera mentre era a cena con Enrico Mattei, il presidente dell'Eni. L'Agip, però, pur lodando l'idea di fare qualcosa per i giovani, non accettò di sponsorizzare subito la Formula Monza. Bertett si rivolse allora alla Shell, che nel '65 patrocinò la serie. Come premio ai primi classificati venivano dati dei buoni benzina. L'Agip capì prontamente l'importanza dell'iniziativa ed intervenne dal secondo anno come supporto alla Formula Monza, che da allora si chiamo' "Trofeo Cadetti Agip". Il prezzo d'acquisto iniziale della vettura, imposto da Bertett, fu di 875 mila lire e per questo all'inizio la formula venne chiamata "875 Monza". In realtà il puro costo dei pezzi per costruire le macchine era circa 720-750 mila lire, mentre la differenza era per la mano d'opera e per un piccolissimo utile. Le vetture si potevano prenotare presso tutti gli uffici sportivi dell'Aci, versando una caparra di 200 mila lire. I primi telai furono costruiti secondo il progetto Massimino dai tre realizzatori dei prototipi, poi ci pensò la Manicardi e Messori di Modena. La carrozzeria era sempre di Fantuzzi. Thiele, che era un pilota di Granturismo ed aveva una fabbrica di materie plastiche, fece poi uno stampo della carrozzeria di alluminio e la realizzò con la materia plastica. All'inizio di maggio 1964 si registrarono già numerose prenotazioni di "Formula 875 Monza" e dopo poche settimane alcuni piloti cominciarono a girare in pista. Il 5 maggio del 1965 fu dato l'avvio al primo Trofeo Cadetti. Due batterie di qualificazione ed una finale inaugurarono il Trofeo Cadetti Shell sul tracciato Junior. Lo schieramento di partenza delle batterie veniva deciso ad estrazione (e non in base alle prove di qualificazione che vennero introdotte solo negli anni Ottanta, con l'avvento della Formula Panda) per non favorire sempre i migliori e per creare maggior agonismo. Le estrazioni venivano fatte prima della gara da tre piloti, sempre diversi, alla presenza di un comissario sportivo. Si estraevano le posizioni di partenza con le palline della tombola in direzione gara. Fuori dalla porta c'erano tutti gli altri piloti che gridavano di gioia o imprecavano a seconda della posizione estratta. Succedeva che magari un debuttante partisse in prima fila della propria batteria e dovesse vedersela da subito con un branco di scalmanati. O era un vero manico o si infrascava alle prime due curve. Mentre i campioni, quando partivano nelle retrovie, dovevano vedersela con quelli davanti, meno esperti. Tutti così avevano occasione di fare esperienza e di imparare. Le gare guadagnavano in spettacolo ed agonismo. A volte c'erano delle ecatombe al primo giro con sette od otto macchine fuori alla prima staccata. Si doveva obbligatoriamente imparare ad essere veloci ed a valutare gli avversari. Ma anche i commissari di percorso dovevano imparare a spostare le macchine incidentate ed a segnalare il pericolo prima che ritornasse il gruppone dei concorrenti. La serata del giovedì venne scelta per non distrarre i giovani dalla passione per il calcio, dagli impegni familiari e dalle gite con gli amici nei fine settimana. Fu sicuramente una scelta azzeccata: in alcune gare del giovedì sera si registrarono oltre 5.500 presenze paganti. Un segno di vero successo. Alla premiazione del primo Trofeo Cadetti partecipò il presidente della Csai Deutteritter, che consegnò il primo premio a Maurizio Montagnani. A quella premiazione venne anche Enzo Ferrari in persona che premiò Corti, secondo in campionato. Bacciagaluppi premiò il terzo arrivato. In quella occasione Deutteritter mi consegnò la lettera di nomina a commissario sportivo dell'AC Milano della Csai. Bertett aggiunse il giorno dopo un'altra lettera in cui mi nominava direttore di gara di grado B, quello delle corse nazionali. Il 1965 fu un grande anno per l'impianto brianzolo: venne disputata la prima edizione della 1000 chilometri per vetture sport-prototipi e la prima edizione della 4 ore con cui ebbe inizio il campionato Europeo Turismo. Un'altra innovazione fu la mostra di vetture sportive ed accessori, e la creazione del Museo dell'Autodromo. Monza oltre al Gran Premio d'Italia poteva così contare su un calendario che comprendeva corse mondiali, europee, nazionali, una scuola di formazione per i giovani piloti ed una serie di attività collaterali di rappresentanza. Una grande svolta per tutto l'automobilismo nazionale e per l'impianto brianzolo. Nel giugno di quel felice 1965 entrai a fare parte della Sias. Il disegno di Massimino non fu mai firmato, né depositato e neanche brevettato. Bertett voleva che chiunque ne fosse in grado, potesse realizzare in proprio la vettura: doveva solo rispettare le dimensioni esterne, il passo di 1950 mm ed i particolari di serie previsti. Incominciò così dall'anno successivo l'epoca dei piloti e dei meccanici che si costruivano da soli la propria vettura, diventando pian piano veri e propri costruttori. Nacquero così Repetti, Santandrea, Melesi, Attilio, Reggiani e Gibertini a Modena, la Scuderia Tricolore di Reggio, Moroni di Lodi, LAB, Corsini, Vargiu, Thiele e tanti altri. Fu una scuola anche per i commissari tecnici che oltre ad omologare le vetture dovevano eseguire le verifiche ad ogni gara. Si doveva controllare il peso, le misure del passo e carreggiata e fu comprato un ponte per poter sollevare le vetture ed effettuare alcune operazioni di controllo della meccanica. Il primo commissario tecnico che omologò i telai fu Vincenzo "Cino" Galmanini, della Commissione tecnica della Csai. C'era un regolamento tecnico per la Formula Monza. Le dimensioni di ingombro, come passo e carreggiata, dovevano rispondere al disegno di Massimino. Avevamo un visore da ricambista Fiat con tutti i numeri dei ricambi ammessi ed i componenti montati dovevano corrispondere ai numeri di serie comunicati dalla Casa torinese. Con i piloti, i preparatori ed i costruttori abbiamo sempre cercato di instaurare una proficua collaborazione in modo da avere sempre ben chiaro lo stato di salute della categoria, vagliando con loro eventuali innovazioni o variazioni tecniche e sportive. Proprio il dialogo continuo e lo scambio reciproco di opinioni è sempre stato alla base del rapporto tra l'autorità competente ed i partecipanti al trofeo e devo dire che ha sempre dato i suoi frutti. In trentuno stagioni abbiamo cercato di non imporre mai d'imperio le novità, ma di discuterle, in modo che fossero sempre accettate all'unanimità. Alle frequenti richieste di aumento delle prestazioni da parte dei costruttori o dei preparatori, noi abbiamo chiesto sempre quanto sarebbe costato quell'incremento. Se per viaggiare magari un secondo al giro più veloci il prezzo da pagare era troppo elevato, abbiamo sempre risposto di no. La Formula Monza è stata sempre una categoria per i giovani, per gli appassionati, non per chi ha soldi da buttare. Repetto fu forse il primo costruttore che iniziò a variare lo schema del telaio di Massimino, ovviamente sempre rispettanndo le misure del regolamento. Tolse un tubo di rinforzo del telaio che irrigidiva inutilmente la struttura. Galmanini in sede di omologazione della vettura ebbe le prime perplessità. Repetto allora attaccò un peso da 100 chili da un lato e dimostrò che il telaio non si deformava. Furono proprio i costruttori e le scuderie a dare un grande contributo allo sviluppo della Formula Monza. Ma non quelle storiche, come la Madunina (impegnata nel Formula 3) o come la Sant'Ambreus (che voleva i grandi gentleman) oppure il Jolly Club, che era per i rally. Dietro al fenomeno Formula Monza ci fu la nascita e l'incremento di una serie di squadre come la Salvati, la Sesto Corse, la Scuderia del Lario, la Lodi Corse, l'Escolette. Il pubblico reagì in modo entusiasta a questa formula. C'era una grande partecipazione che alcune volte sfociava in vero e proprio tifo sportivo. Se un commissario sbagliava ad esporre una bandiera blu in Variante, partivano dalle tribune bordate fischi ed insulti. Era veramente una scuola anche per i commissari, non potevano sbagliare: il giudizio del pubblico era spietato. Non esistevano praticamente le bandiere rosse e ad ogni giro c'era un incidente in Variante. I commissari dovevano saper sgombrare la pista in meno di un minuto, magari con due o tre macchine incidentate alla volta che dovevano essere trascinate a forza fuori dalla pista. Se un commissario sportivo non segnalava una scorrettezza, a fine gara arrivavano puntuali i piloti spesso 'scortati' da meccanici, genitori, fratelli, sorelle ed amici con il regolamento in mano ed erano grandi discussioni per tutti. Intanto però si faceva della vera formazione sportiva. La Formula Monza cominciò ad essere una grande palestra per piloti e tecnici, tanto che nel 1968 ci furono degli studenti che presentarono come tesi di laurea il progetto e la costruzione di una Formula Monza. Uno degli obiettivi di Bertett era stato raggiunto. L'evoluzione tecnica della Formula Monza 500 é stata la Formula Panda, nata sostanzialmente in seguito a due circostanze: le gare in diurna e la richiesta dei piloti di disporre di prestazioni maggiori per poter passare più agevolmente alle formule superiori. Fino a quando si era corso la sera, con l'illuminazione artificiale, ci eravamo posti il problema della scarsa visibilità e della difficoltà di alcuni nella valutazione della distanza e della velocità al buio. Correndo il sabato pomeriggio, con il chiaro, venivano a cessare queste remore e quindi si poteva dare un ulteriore incremento alle prestazioni, come ripetutamente richiesto. Le gare di Formula Monza 500 erano nate per il giovedì sera, con il tracciato Junior illuminato da un impianto alimentato da una cabina elettrica situata in fondo al rettilineo principale. Le gare furono in seguito spostate al sabato sera e rimasero in questa connotazione serale fino a quando non fu necessario costruire la prima Variante. Per fare le modifiche richieste si dovette, infatti, interrompere il cavo che portava la corrente dalla cabina ausiliaria dell'Enel all'impianto di illuminazione. Il cavo non fu più ripristinato e così si iniziò a correre il sabato pomeriggio. Nel 1981 fu fatta una indagine sugli eventuali costi e risultò che il Fiat 903 cc era il motore più economico. Era il quattro cilindri della Panda 4 ad aste e bilancieri: derivava dal propulsore utilizzato anni addietro per la Formula 850 e quindi dotato di una buona base di partenza per i preparatori. La differenza di preparazione tra la vecchia Formula 850 e la Formula Panda però era sostanziale. La prima consentiva preparazioni spinte, addirittura con alcuni pezzi costruiti appositamente. Le potenze erano elevate, come elevati erano i costi ed i guasti meccanici. La Formula Panda, invece, aveva un livello di elaborazione paragonabile a quello di una gruppo N attuale. Il 903 cc ad aste e bilancieri era stato costruito in molteplici versioni e quindi i ricambi erano piuttosto economici e di facile reperimento. In quegli anni era sicuramente il propulsore ideale per motorizzare una formula addestrativa. Come avevamo potuto constatare, il robusto telaio tubolare, che nel frattempo aveva beneficiato di un notevole affinamento, poteva reggere senza problemi potenze ben superiori a quella erogata dal bicilindrico a sogliola. Motore a parte, la differenza più sostanziale riguardava le sospensioni che sulla prima Formula Monza erano quelle della Fiat Giardiniera (balestra anteriore, triangoli in lamiera al retrotreno), mentre per la "Panda" lo schema era libero, purché venissero rispettate le misure di passo e carreggiata. Non si dovevano più usare i pezzi di serie ma ogni costruttore realizzava i triangoli e la geometria a suo piacimento. Dalla nostra indagine risultò che modificare Formula Monza in Formula Panda significava affrontare una spesa di circa un milione, un milione e mezzo di lire. La proposta fu ben accetta sia da parte dei concorrenti che dei costruttori e fu dato il via alla nuova formula che debuttò nel 1983. Autore del nuovo regolamento tecnico fu Vincenzo Galmanini, un grande tecnico, un uomo che amava la semplicità e che è stato il punto di riferimento per tutta una generazione di commissari tecnici. Vorrei nuovamente ricordare l'importanza della Fomula Monza e della Formula Panda per la formazione di questi ultimi. L'ingegnere Galmanini è stato il grande maestro, l'ingegnere De Riu ha dalla sua una lunga militanza con i "monzini", Guerciotti ha contribuito a redigere il regolamento tecnico della successiva Formula Fire, Pacini segue attualmente le gare di Monza. Per due anni, 1983 e 1984, ci fu una convivenza di entrambe le formule: la Panda disputava il Trofeo Cadetti, mentre alla Formula Monza 500 era intitolato il Trofeo Fisa delle Scuderie Lombarde. Abbiamo sempre cercato di evolvere ma non a scapito di ciò che funzionava. Insomma, finché c'erano vetture in circolazione, noi abbiamo sempre cercato di farle partecipare. Ad esempio, di "monzini" 500 ce n'erano moltissimi in giro e non era giusto penalizzare chi voleva continuare ad utilizzarle, magari perché non aveva i soldi necessari per acquistare una Formula Panda o per modificare la sua vecchia monoposto. Il primo telaio di Formula Panda fu realizzato da Santandrea, un uomo fantastico, che collaborò moltissimo con noi per l'avvio della nuova formula. Lo realizzò gratuitamente e lo fece provare in inverno a vari piloti per verificarne la validità. Il motore lo aveva recuperato da una Fiat Panda che aveva nella sua officina. Ho un bel ricordo di Santandrea. Un giorno venne a trovarmi in ufficio e mi disse: "Mi sono divertito tanto in questo ambiente, ora smetto e vado a giocare con i miei cani, i miei grandi amici". Grande lavoratore (alle volte stava in officina per diciotto ore filate per perfezionare le sue monoposto), è un uomo che ha dato tanto a questa categoria e che ha insegnato molto a diverse generazioni di piloti e di tecnici. Santandrea ha anche il merito di aver trascinato con sé molti giovani e di aver insegnato a loro come ci si comporta in pista. Ha anche corso, negli anni Settanta, e quindi conosceva molto bene gli aspetti di questa categoria. La successiva evoluzione della Formula Panda è stata la Formula Fire. Con la Panda c'erano state troppe evoluzioni e non si riusciva a tener più sotto controllo l'escalation dei prezzi. Il Fiat 903 cc ad aste e bilancieri era stato prodotto in così tante versioni che avevamo difficoltà anche in sede di verifiche a far rispettare tutti i regolamenti tecnici ed aveva una preparazione abbastanza sofisticata. Il collettore di scarico era libero, come pure l'asse a camme e le molle valvole perché quelle di serie non reggevano l'incremento dei giri e si usuravano immediatamente. Dal punto di vista tecnico, soprattutto per quanto riguarda i costi, la formula ci stava sfuggendo di mano. Bisognava avere il coraggio di intervenire per non far morire la categoria. Ricordo motori sbiellati, rotture in continuazione, differenziali che saltavano per la brutalità dell'erogazione della potenza. Contrari ad ogni modifica erano i preparatori. Alcuni di loro erano diventati veri e propri professionisti della categoria e si guadagnavano da vivere elaborando i motori della Formula Panda. Discutemmo molto tra noi e tra i partecipanti, alla fine ci fu il consenso della maggioranza e si dette l'avvio al nuovo cambio di propulsore. Siamo ricorsi così, era il 1988, al nuovo motore Fiat: il Fire di 999 cc. Motore decisamente più moderno, asse a camme in testa e preparazione ancora minore rispetto al 903 cc. Facemmo tre riunioni per decidere il regolamento tecnico con tutti i costruttori ed i preparatori. Ricordo che c'erano presenti Ermolli, Sandonà, Corsini, Repetto, Ruboni e molti altri, circa una ventina di persone. Insomma i principali costruttori dell'epoca ed i diretti interessati alle nuove evoluzioni. In molti casi fu una dura lotta tra noi che volevamo mantenere i costi bassi ed i preparatori dei motori che volevano preparazioni sempre più spinte ed ovviamente più costose. Guerciotti fu colui che aveva il compito di tradurre le tante proposte ed i tanti discorsi fatti nel nuovo regolamento tecnico. La prima gara di Formula Fire venne boicottata dai preparatori. Il motore Fire era praticamente di serie mentre per essere competitivo il 903 Panda richiedeva una buona preparazione, con relativi costi. Dagli oltre 80 cavalli del Panda si scendeva ai 50 del Fire, ma le velocità di punta, i tempi sul giro e l'impegno di guida dei piloti, non diminuivano in modo considerevole. In compenso diminuivano notevolmente i costi: dai 4-5 milioni per la preparazione di un motore 903, che durava per poche gare, si passava al milione, milione e mezzo del Fire, che magari durava per tutta la stagione. Alla prima gara si iscrissero in cinque, ma solo due si presentarono ai cancelli di partenza: Roberto Pessina, primo vincitore della categoria con una Corsini e Cerizza su una Tatuus. Bacciagaluppi era perplesso: "Una gara con solo due macchine non ha senso. Rimandiamo l'avvio del campionato fino a quando non ci saranno almeno una decina di macchine". Mi opposi e volli dirigerla io, quella prima gara di Formula Fire. C'era bisogno di un segnale forte. Dovevano partire, quei due ragazzi che avevano creduto in noi e nella Formula Fire. Dovevano correre. Dovevano essere premiati per il loro impegno. Ed alla fine loro due salirono sul podio: erano al settimo cielo, con la loro bella coppa in mano. Ed io ero più felice di loro perché ero riuscito a dimostrare a tutti che la Formula Fire era una realtà. Se non avessi dato quella partenza, probabilmente la Formula Fire non avrebbe mai avuto un futuro. Come per il precedente passaggio Formula Monza - Formula Panda, anche in questo caso tenemmo in piedi la categoria precedente fino a quando ci furono partecipanti. Il tempo ci diede ragione: ad ogni gara aumentava il numero di partecipanti della Formula Fire fino a sopravanzare quello, già elevato, della Formula Panda. Per curiosità, verificammo la velocità di punta delle due categorie: la più veloce (oltre 200 orari) era ovviamente la Formula Panda ma la Fire, nonostante i 30 CV in meno, era più lenta di appena una decina di chilometri orari, grazie alla migliore erogazione della potenza. Infatti, il segreto per "staccare" temponi con queste piccole vetture dai pochi cavalli è sempre stato quello saper sfruttare la loro scorrevolezza. La guida ruvida non ha mai pagato. Negli anni il tracciato Junior ha subito dei cambiamenti. Con l'arrivo della più veloce Formula Panda abbiamo introdotto due chicane artificiali, una all'uscita della Parabolica ed una dopo la linea del traguardo per spezzare il gruppone di dieci-dodici piloti che si formava ad ogni gara, sfruttando l'effetto scia, e che dava origine ad incidenti spettacolari all'ingresso della variante. Introducendo le due chicane c'erano due staccate e due curve in più, e quindi una maggior selezione. La variante dopo il traguardo è stata successivamente modificata perchè troppo pericolosa. Abbiamo spostato la nuova chicane in prossimità della variante Junior, con un raggio di curva che costringesse a scalare almeno due marce. Nel 1995 è rinato il campionato nazionale denominato Trofeo Aica per la Formula Fire-Monza, ribattezzata per l'occasione Formula Junior. Fortemente voluto dai piloti e dai costruttori, il campionato si é rivelato un succeso ed ha raccolto numerosi consensi anche su altri circuiti italiani dove la partecipazione e lo spettacolo offerto è stato di alto livello. Non si tratta, comunque di una novità assoluta. Dal 1966 al 1983 era stato organizzato un Trofeo nazionale Csai ed il suo vincitore andava a fine anno a Roma a ritirare la meritata coppa. Nel 1983 il Trofeo è passato alle monoposto motorizzate con il 903 cc e si è inaugurato il Campionato Formula Panda, disputato fino al '90, con gare anche fuori dal tracciato brianzolo. Le piccole monoposto furono invitate a correre a Vallelunga, a Magione ed a Varano dé Melegari. Quando é nata la Formula Alfa Boxer é stato abolito il Campionato Italiano Formula Panda, con l'intento di non sottrarre piloti alla neonata formula addestrativa fortemente voluta dalla Csai. Evidentemente, i responsabili non avevano capito che non era il titolo a fare la fortuna di una categoria bensì il tipo di macchina, che doveva essere accessibile alla più larga base di partecipanti ed economica nella gestione. Per fortuna i nostri sponsor istituzionali, Agip e Pirelli, hanno continuato a sostenere la categoria, anche se ridotta a fenomeno locale, a riprova ulteriore della sua validità. La Formula Panda e la Formula Fire sono sempre stati fenomeni legati all'Autodromo di Monza ed all'AC Milano, che le hanno sempre sostenute per questi 30 anni. Nel corso della sua lunga storia la Formula Monza, poi Panda ed infine Fire, ha sempre utilizzato propulsori Fiat, una scelta effettuata valutando i costi e la facile reperibilità dei ricambi. Tuttavia la Casa torinese, a parte il grande aiuto avuto all'inizio da Aurelio Lampredi, non ha mai dimostrato un grande interesse per la nostra inizativa. Quando decidemmo di adottare la motorizzazione Panda ci rivolgemmo a Cesare Fiorio, allora responsabile dell'attività sportiva del gruppo, per sapere se poteva esserci un minimo di partecipazione da parte della Fiat per sostenere il nuovo progetto. Benchè non chiedessimo nulla di esoso, Fiorio ci rispose che dovevamo smetterla con questa formula perché "non interessava a nessuno". Quando siamo passati alla Formula Fire ovviamente a Torino non ci siamo neanche andati: non volevamo farci prendere nuovamente per i fondelli. Ma il tempo alla fine ci ha dato ragione. La Fiat ha voluto sostenere iniziative come la Formula Alfa Boxer che a livello propedeutico, e non solo, è stata un fallimento. Il campionato Feb è scomparso nel giro di poche stagioni, la Formula Monza è ancora viva e gode sempre di una buona salute con un parco partenti mai al di sotto di cinquanta vetture. Tra l'altro, devo confessare che, nonostante l'attività di formazione e di insegnamento sportivo, Monza non ha mai perso economicamente con le gare del Trofeo Cadetti. Tra le quote di iscrizione, il costo della pista nelle prove libere ed il contributo degli sponsor, i conti sono risultati sempre in attivo. E questo è un altro grande vanto per chi ha organizzato in tutti questi trent'anni le gare. Il patrimonio frutto di tanti anni di esperienze è ora nelle mani dei piloti, delle squadre, dei costruttori e di tutti coloro che animano oggi la categoria. Ma soprattutto è un patrimonio nelle mani dell'AC Milano, padre della categoria, e dell'Autodromo di Monza.